Marzo 2018: Risarcimento danni conseguente a revoca di autorizzazione archeologica e di occupazione di area – “accanimento nei confronti dell’iniziativa imprenditoriale” Cons. St., sez. VI, 6 marzo 2018, n. 1457

Marzo 2018: Risarcimento danni conseguente a revoca di autorizzazione archeologica e di occupazione di area – “accanimento nei confronti dell’iniziativa imprenditoriale” Cons. St., sez. VI, 6 marzo 2018, n. 1457

17 Marzo 2018

Risarcimento danni – Attività di impresa – Autorizzazioni – Illegittimo ritardo nel rilascio – Risarcimento – Spetta.

        Spetta il risarcimento del danno conseguente ad illegittima occupazione di area e revoca di autorizzazione archeologica, necessaria all’insediamento di uno stabilimento balneare, da parte della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio.

Il Consiglio di Stato, ha riconosciuto il diritto al risarcimento del danno e ha chiarito che, nel caso sottoposto al suo esame, emerge quello che appare un vero e proprio “accanimento” nei confronti dell’iniziativa imprenditoriale e, posto in essere, senza giustificazione alcuna, in modo del tutto sproporzionato rispetto al fine da perseguire – ed invero tutti i relativi provvedimenti sono stati annullati dal giudice amministrativo – ed in totale spregio del fatto che, pochi anni prima, la stessa Soprintendenza aveva autorizzato la medesima iniziativa. Con ciò trascurando completamente l’affidamento che legittimamente il privato nutriva circa la fattibilità dell’opera e per la quale si era già attivato effettuando i necessari investimenti.

Ad avviso della Sezione ciò che emerge dalla vicenda appare sintomatico di uno svolgersi dell’attività amministrativa secondo logiche lontane dal modello di correttezza e buona amministrazione di cui all’art. 97 della Cost., come si è andato evolvendo nel diritto vivente. Modello in cui, alla tradizionale ed imprescindibile funzione di garanzia di legalità nel perseguimento dell’interesse pubblico, la funzione amministrativa viene a rivestire anche un ruolo di preminente importanza per la creazione di un contesto idoneo a consentire l’intrapresa di iniziative private, anche al fine di accrescere la competitività del Paese nell’attuale contesto internazionale, secondo la logica del confronto e del dialogo tra P.A. e cittadino.

In altri termini, l’evoluzione del modello costituzionale impone di tener conto che l’attività amministrativa produce sempre un “impatto” sulla sfera dei cittadini e delle imprese (ne è conferma l’emersione del principio di accountability). Tale impatto, da un lato, deve essere considerato e quantificato, affiancando agli strumenti giuridici quelli economici di misurazione, che permeano sempre di più l’attività amministrativa; d’altro lato – e soprattutto, ai fini della tutela – tale impatto non può essere trascurato, né assorbito, e nemmeno ridotto forfettariamente in considerazione di una cura dell’interesse pubblico asseritamente prevalente.

Sono emblematiche di tale tendenza tutte le riforme ispirate alla semplificazione e alla trasparenza dell’attività amministrativa, non ultima – per quel che rileva in questa sede, dove all’origine dell’arresto dell’iniziativa degli appellanti vi è la revoca della precedente autorizzazione archeologica – la l. n. 124 del 2015, intervenuta, tra le altre cose, sui presupposti del potere di autotutela, che deve sempre considerare l’affidamento del privato rispetto a un precedente provvedimento ampliativo della propria sfera giuridica e sul quale basa una precisa strategia imprenditoriale (cfr. art. 21-nonies, comma 1, l. n. 241 del 1990, come modificato dall’art. 25, comma 1, lett. b-quarter, l. n. 164 del 2014 e poi dall’art. 6, comma 1, l. n. 124 del 2015; nonché l’art. 21-quinquies, come modificato dall’art. 25, comma 1, lettera b-ter , l. n. 164 del 2014).

Del resto, da tempo la giurisprudenza è costante nel ritenere che il provvedimento di autotutela debba essere adeguatamente motivato con riferimento alla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale nonché alla valutazione comparativa dell’interesse dei destinatari al mantenimento delle posizioni e dell’affidamento insorto in capo ai medesimi.

Ai fini della quantificazione del danno, la Sezione – in relazione alla necessità di considerare l’“impatto economico effettivo” dell’attività amministrativa, di qualsiasi tipo (legittima o illegittima), nei confronti delle iniziative private, anche al fine di accrescere la competitività del Paese – ha affermato che nel caso di specie l’impatto della (illegittima) attività di cui si discute vada quantificato nella sua effettiva portata. Tale portata non può che ricondursi al danno massimo sopportato dal privato per la illegittima attività dell’amministrazione: il mancato funzionamento dell’impianto produttivo, il mancato svolgimento dell’attività d’impresa, il mancato percepimento dei guadagni.

Proprio poiché il danno da risarcire va commisurato alla integralità del pregiudizio economico subito, si ritiene che tale riconoscimento – in assenza di ulteriori voci di danno (come, ad es., il danno da fermo cantiere) – abbia carattere assorbente di ogni altra richiesta, di tipo sia indennitario che risarcitorio. Pertanto, anche il riconoscimento di un’ulteriore voce di danno da occupazione illegittima concretizzerebbe una indebita duplicazione del risarcimento stesso.

Ha aggiunto che il mancato introito deve essere correttamente parametrato al ritardo con il quale è stata avviata l’attività, ovvero al periodo nel quale, a causa dei provvedimenti illegittimi dell’amministrazione, la società non ha potuto disporre dell’area.